Vittorio De Sica: Lo sguardo del grande cinema italiano

Un maestro, un mito, un padre del grande cinema italiano. Attore per necessità, regista per vocazione, Vittorio De Sica dopo il successo avuto con il cinema dei telefoni bianchi, si trova alla fine della guerra a fare i conti con una nuova realtà: la realtà del secondo dopoguerra italiano.

È una realtà che si offre allo sguardo del cinema, senza veli, senza sconti, senza falsi pudori. Proprio per questo, diventa necessario saperla cogliere, rivoluzionare lo sguardo, spogliarlo da qualunque cliché, renderlo parte del tutto. Le scenografie naturali, delle strade devastate dalle bombe, sono una realtà ingombrante, ma cosi palpitante da non potersi ignorare. Nessun altro set, se non quelle strade stesse, avrebbe potuto ispirare e far raccontare quell’esistenza in modo più poetico.

Questa, fu la geniale intuizione di registi quali : Rossellini, De Sica, Visconti, che videro oltre quell’istanza, il ricongiungersi dei corpi alle proprie anime, tre anime diverse ma accomunate dallo stesso intento. Così, avviene che, i cumuli delle macerie lasciate dalla guerra, diventano il luogo in cui l’esistenza si tramuta in arte. E fu una rivoluzione chiamata:Neorealismo.

Luchino Visconti- Vittorio De Sica- Roberto Rossellini

   Un giorno Zavattini mi dice «È uscito un libro di Luigi Bartolini, leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto.» Era Ladri di biciclette… Quel soggetto mi appassionava profondamente…

Il mio scopo è di rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca, anzi nella piccolissima cronaca, considerata dai più come materia consunta. Che cos’è infatti il furto di una bicicletta, tutt’altro che nuova e fiammante per giunta? A Roma ne rubano ogni giorno un bel numero e nessuno se ne occupa giacché nel bilancio del dare e dell’avere di una città chi volete che si occupi di una bicicletta? Eppure a molti che non possiedono altro, che ci vanno al lavoro, che la tengono come l’unico sostegno nel vortice della vita cittadina, la perdita della bicicletta è un avvenimento importante, tragico, catastrofico.

Vittorio De Sica

Quel drammatico che diventa meraviglioso, travalica i confini nazionali, su una bicicletta, che nessuno potrà mai scordare, consegnando a Vittorio De Sica il suo secondo Oscar (il primo lo vinse nel 1948 con Sciuscià).

Sul set di Ladri di biciclette (1948)

Nel 1951 De Sica ci regala Miracolo a Milano tratto dal romanzo di Zavattini Totò il buono. Una meravigliosa favola in cui il protagonista sogna un mondo dove «Buongiorno voglia davvero dire buongiorno». Pura poesia, la celeberrima scena finale in cui i protagonisti volano, a cavallo delle scope che hanno appena sottratto a dei netturbini, per raggiungere quel paese immaginario tanto desiderato.

Miracolo a Milano

Alla magia di questa scena e a De Sica, si è ispirato Steven Spielberg per il film ET. I protagonisti, con a capo l’amato extraterrestre, voleranno in cielo in sella a delle biciclette.

Il 1952 è l’anno di Umberto D, un tributo del regista al padre, Umberto De Sica . Un film in cui si raccontano le difficoltà economiche e la moderna solitudine di un pensionato a cui resta solo il conforto del suo cagnolino, ed è proprio grazie a lui che ritroverà la voglia di vivere.

Un capolavoro assoluto, una denuncia sociale che non risparmiò a De Sica critiche e vessazioni, da parte dei rappresentanti politici dell’epoca. La pellicola scatenò le ire dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega agli spettacoli; un giovanissimo (33 anni) Giulio Adreotti, che, per la rivista Libertas, scrisse un lungo articolo avvelenato, in seguito sintetizzato nella frase “I panni sporchi si lavano in famiglia“. A cui De Sica, difendendo la sua opera rispose : «Non mi è sembrato eccessivo, che tutte le circostanze fossero contrarie al mio triste eroe. Accade così, nella vita dell’uomo, che alterna giornate tutte fortunate ad altre tutte avverse. Umberto D. , per me, non va quindi considerato alla stregua di un caso limite».

Sul set di Umberto D

Con questo film si chiude il periodo neorealista per De Sica e si apre un nuovo ciclo.

Girerà ancora tre film Stazione Termini(1953), L’oro di Napoli (1954) e Il Tetto (1955) e poi per qualche anno si dedicherà, suo malgrado, solo alla recitazione. Sono gli anni del neorealismo rosa che lo vedranno interprete dei vari Pane, amore e …. ma sono anche gli anni in cui ci regalerà una delle sue interpretazioni più intense, sotto la regia di Roberto Rossellini con Il generale della Rovere (1959).

Il generale Della Rovere

Il film narra un episodio della Resistenza tratto da un racconto di Indro Montanelli.

Due giganti insieme, De Sica e Rossellini, uno davanti e l’altro dietro la macchina da presa, riusciranno ad unire in modo magistrale, la commedia al dramma, ma ancora una volta non mancheranno polemiche e critiche.

Il film si aggiudica il Leone d’Oro a Venezia in ex equo con “La grande guerra” di Mario Monicelli.

Sono passati cinque anni dalla sua ultima regia è il 1960 e Vittorio De Sica torna dietro la macchina da presa con La ciociara tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia

All’epoca Sophia Loren ha solo 25 anni, quando inaspettatamente Vittorio De Sica le propone il ruolo di Cesira, un ruolo intenso e drammatico.

Senza De Sica, non sarei mai diventata quella che sono…

Quando lo incontrai a Cinecittà, mi interrogò dicendo “interessante”, ma in realtà mi osservava con il suo terzo occhio, quello attento a scovare l’attore dietro l’apparenza.

Sophia Loren

Con questo film la Loren vinse l’Oscar come migliore attrice protagonista.

Nel 1963 dirige ancora la Loren insieme a Marcello Mastroianni nel film Ieri, oggi e domani. Il film è articolato in tre episodi ambientati in tre grandi città italiane : Adelina, ambientato a Napoli, Anna a Milano e Mara ambientato a Roma. Il soggetto degli episodi fu affidato a tre grandi personaggi del mondo culturale dell’epoca: Eduardo De Filippo, Alberto Moravia e Cesare Zavattini.

L’episodio ambientato a Roma è reso celebre dalla scena  dello spogliarello di Mara

Tre spaccati di vita per uno dei capolavori del cinema italiano con il quale Vittorio De Sica si aggiudicherà il terzo Oscar.

E poi, il quarto Oscar arriva nel 1972 con Il giardino dei Finzi Contini tratto dal romanzo di Giorgio Bassani., in cui si racconta la drammatica storia della persecuzione di una famiglia ebrea ferrarese durante il fascismo.

Il giardino dei Finzi Contini, 1970

Un autorevole cineasta di profilo internazionale, una carriera che non è riconducibile a quella di nessun’altro regista. Nel 1973 Vittorio De Sica vince il David europeo alla carriera, per aver “illustrato la patria e aver reso il cinema, con il suo grande talento e la sua grande umanità, un’arte con la A maiuscola”.

Il suo ultimo film è Il viaggio (1973), tratto da una novella di Luigi Pirandello. interpretato ancora da Sophia Loren, accanto a Richard Burton.

Durante le riprese del film De Sica scopre di avere un tumore ai polmoni, ma nonostante questo continuerà a lavorare a quello che sarà il suo ultimo film.

Morirà il 13 novembre 1974 in Francia.

In cinquant’anni di carriera ha vinto quattro Oscar, una Palma d’oro a Cannes e un Orso d’Oro a Berlino.  Attore in ben 158 pellicole, regista di 34 tra lungometraggi e film a episodi, è stato il primo vero grande divo moderno.

Bello spavaldo e sciupafemmine nei film degli anni trenta che lo rendono popolare, regista raffinato e moderno, padre del Neorealismo cinematografico italiano fino ad arrivare ai film della sua maturità. In mezzo secolo di storia del cinema, De Sica ha saputo rappresentare distinguendosi, l’Italia e gli italiani dell’anteguerra, l’immagine devastata e devastante del dopoguerra fino ad arrivare agli anni del boom economico. Senza perdere mai quello sguardo attento e umano che gli ha consentito di mettere in mostra: la comicità, la drammaticità, il sogno e la realtà più crudele.

Di lui, insieme ai suoi capolavori ci resta un’idea di cinema puro, di un cineasta attento, scrupoloso e geniale. Intramontabile e indimenticabile.