La tavola imbandita

Racconto estemporaneo

Dicono che non ho, quello che comunemente viene definito, un “brutto carattere” anche se a volte mi accusano di essere precisa, quasi pignola. Forse è vero, ma ritengo importante che le cose vadano per il verso giusto e tutto fili perfettamente. Certo, non sono una persona che usa mezze misure per dire ciò che pensa e non ho atteggiamenti accomodanti, ma nel mio piccolo riesco a capire quando una cosa viene fatta con cura e quando invece è fatta solo per dovere, senza metterci dentro passione e amore.

Così, quando Silvia si presenta a me dicendo «Signora, per stasera tutto sta andando meravigliosamente bene», la prima cosa che mi viene in mente è rispondere “siamo sicuri?”

 E non, perché Silvia in passato mi abbia creato dubbi riguardo le sue capacità lavorative, ma perché, pur essendo meticolosa nel seguire le mie direttive e applicandosi oltre misura a non deviare da ciò che esattamente le dico di fare, manca appunto d’inventiva. Si limita ad eseguire il suo compito senza purtroppo aggiungere un tocco personale, senza uscire mai dal seminato, certo la si potrebbe definire un’ottima esecutrice.

Riesco comunque a controllare la mia risposta ed invece di scendere subito in sala da pranzo a vedere come stanno andando le cose, le accenno un sorriso ed inizio a chiederle della disposizione dei posti, delle candele, del menu, del posizionamento delle posate e del resto per l’importantissima cena di stasera.

Non voglio che qualcosa vada storto. Non è una cena qualsiasi. Di sicuro si riuniscono quattro vecchi amici, io, mio marito e i coniugi Wanda e Giorgio, ma non è solo una rimpatriata. Sono anni che non ci frequentiamo più, anche se un tempo eravamo molto affiatati, da un certo momento in poi le nostre vite hanno preso strade diverse.

 Marco e Giorgio avevano fondato insieme un’impresa di costruzioni fino a quando, per motivi fiscali furono costretti a chiudere l’attività. Non fu certo una bella cosa licenziare le persone che lavoravano per loro, ma in realtà non ci fu proprio niente di bello in quella storia.

Finimmo per chiudere i battenti ed anche i nostri rapporti. Marco e Giorgio litigarono di brutto accusandosi a vicenda per anni.  Le loro faccende personali però non impedirono a me e Wanda di continuare a sentirci e di nascosto a frequentarci. Ci scambiavamo lettere, ci telefonavamo e di tanto in tanto pur vivendo in città diverse, trovavamo un punto d’incontro per poter bere insieme un caffè e discutere delle nostre quotidianità. In cuor nostro abbiamo sempre sperato che i coniugi tornassero a parlarsi, a coltivare la loro antica amicizia, anche perché quando qualcosa di così prezioso si spezza per questioni di carattere economico, il dolore è forte. Non si dovrebbe mai uccidere un amore per denaro.

E così, se stasera ci si ritrova tutti insieme, è perché lentamente io e Wanda abbiamo cercato di fare riappacificare le nostre rispettive metà, ricorrendo alla nostra arte di convincimento. Ricordando ai nostri rispettivi partner i bei tempi andati, le risate, la mancanza dei confronti, eccetera. Il nostro lavoro di certosina pazienza infine ha avuto i frutti che ci aspettavamo e finalmente stasera raccoglieremo quanto di buono abbiamo seminato.

Ecco perché, tutto deve essere perfetto, non solo nella sostanza, ma anche nella forma. Non si può prescindere dall’atmosfera per riprendere un rapporto che per anni è stato diviso in due.

Insomma, questa è la cena del perdono.

Ecco perché, nonostante abbia accennato un sorriso a Silvia, sono subito scesa di sotto per controllare come andavano le cose in sala da pranzo. E appena vi ho messo piede, seguita a ruota da Silvia della quale avvertivo la preoccupazione attraverso la cadenza del suo passo, ho notato che tutto era esattamente come io volevo. Questa volta la ragazza si era superata e con l’aiuto della servitù era riuscita a realizzare proprio ciò che avevo progettato. Solo che c’era qualcosa che stonava. Sapevo nel mio intimo che non era colpa di Silvia, ma mancava un dettaglio, un particolare a cui avrei dovuto pensare io, ma sciaguratamente non riuscivo a definire l’elemento mancante.

Silvia mi chiese con una voce timida se il lavoro fosse stato fatto in maniera precisa.

Io la rassicurai stringendole la mano, ma mi accorsi che la sua tremava.

Mancavano solo due ore all’inizio della cena e una governante nervosa era l’ultima cosa di cui avessi bisogno.

Perciò le dissi di stare tranquilla, che ero molto soddisfatta del lavoro svolto, dell’attenzione e la cura dei particolari.

Lei sembrò rasserenarsi, ma aveva un punto interrogativo disegnato sul viso che spiccava per intensità e grandezza. La guardai in cerca di risposte.

«Signora, se posso permettermi…»

«Dimmi pure, Silvia»

«Non è una critica, la mia, se mai una piccola osservazione…»

«Vai dritta al punto»

«Ho l’impressione» mi scusi signora « che manchi qualcosa».

Le sue parole in quel determinato momento mi colpirono. Da un lato scoprii in lei, con mia sorpresa, un’inaspettata sensibilità e attenzione, dall’altro confermò i miei dubbi circa la mancanza di un elemento. Ero sconcertata, stavo commettendo un errore, c’era un difetto e la cena era ormai imminente.

«Davvero?» domandai in tono sarcastico e me ne pentii subito perché Silvia divenne tutta rossa e rispose.

«Sono una stupida, signora, non avrei dovuto dire niente. Come sempre lei ha organizzato l’avvenimento in maniera perfetta».

L’imbarazzo palese della ragazza e le sue scuse repentine mi impietosirono, perciò dissi che non volevo inibirla e che se aveva idea di cosa mancasse lo dicesse pure apertamente senza remore.

Evidentemente però, lo dissi con foga e Silvia pensò che fossi adirata per essere stata messa in discussione, aggiungendo che ciò che aveva detto non era meritevole di essere preso in considerazione e se potevo dimenticare che lei avesse parlato.

Forse ho davvero un brutto carattere – pensai tra me.

Guardai Silvia senza malevolenza, sorrisi più dolcemente che potei e ripresi.

«Silvia, non volevo rimproverarti, davvero mi interessa sapere cosa ti sembra che sia fuori posto o che manchi»

Silvia si morse il labbro superiore, mentre i suoi occhi si abbassarono. Poi timorosa disse che non sapeva dirmi esattamente cosa, ma che ci avrebbe pensato e se ci fosse riuscita in seguito, col mio permesso, sarebbe venuta a dirmelo, non appena fosse giunta un’illuminazione.

La congedai con un cenno del capo e tornai di sopra, desiderando fortemente che l’elemento mancante per quella perfetta tavola imbandita giungesse a me prima che a lei. Nel frattempo chiamai Marco e gli chiesi se era sulla strada del ritorno, mi rispose che c’era un po’ di traffico, ma che, visto l’anticipo, sarebbe certamente arrivato in orario.  Nella sua voce avvertii un tono d’ansia che attribuii al fatto più che normale che questo incontro dovesse emozionarlo, essendo il primo dopo quella rottura terribile e inopinata.

Per rilassarmi, andai biblioteca prendendo un libro a caso da uno scaffale e inizia a leggere. Era un libro di poesie, nemmeno uno dei miei preferiti. M’imposi, per una volta, di essere fatalista, se avevo preso quello doveva esserci un motivo recondito per cui la mia mano era andata proprio in quella direzione. Così, mio malgrado, mi feci catturare dalle atmosfere bucoliche che quella lettura richiamava. Gradualmente cominciai a sentirmi meglio e la mia tensione dolcemente svanì.

Ritornai bruscamente a me stessa quando vidi Marco davanti ai miei occhi. Non aveva una buona cera, la sua espressione era visibilmente contrariata. Gli chiesi cosa fosse accaduto.

Mi rispose che la serata era rimandata e lo disse come se mi stesse comunicando la fine del mondo. Wanda e Giorgio avevano telefonato. C’era stato un deprecabile imprevisto e per quella sera non potevano essere da noi.

Mi stupii a non esserne dispiaciuta. Il fatto che non avessi ancora individuato il dettaglio che avrebbe reso tutto perfetto sembrava più importante dell’avvenimento principale.

Tuttavia risposi che era davvero una cosa spiacevole e che ero molto addolorata. Pensai che Wanda avrebbe potuto telefonare prima a me e spiegarmi nei dettagli il motivo di tale decisione. Se non l’aveva fatto reputai ci fosse una ragione seria, forse Giorgio non era ancora pronto a fare pace.

In effetti era una teoria plausibile, ma non avevo certezze a tal proposito. Forse la spiegazione era più banale, forse uno dei due si era sentito poco bene, non doveva per forza trattarsi di una reticenza di Giorgio. Però in cuor mio sentivo che avevamo fallito il suggellarsi di quella riappacificazione.

Respirai a fondo e chiesi a Marco quale fosse stata l’argomentazione che gli avevano fornito per giustificare tale comportamento.

Lui rispose che era proprio la cosa che l’aveva mandato in bestia, perché erano stati vaghi e non avevano voluto dare spiegazioni esaurienti.

Gli chiesi di calmarsi. Dopo tutto si poteva fare un’altra volta. Ciò che era davvero importante era il fatto che volessero riconciliarsi. Il momento poteva essere rimandato.

Marco si sedette nella poltrona di fronte alla mia. Disse che per ciò che lo riguardava niente era cambiato. Voleva davvero riabbracciare l’amico e chiedere scusa per ciò che era stato. Però il tono della sua voce non era autentico, si notava che quel rifiuto l’avevo ferito più di quanto volesse ammettere.

Pensai di chiamare Wanda e di chiederle lumi. Poi decisi che l’avrei fatto l’indomani, lasciando trascorrere la notte per parlarne a mente fredda.

Dissi che comunque potevamo scendere di sotto e cenare solo noi due. Avremmo cambiato qualcosa, tolto due coperti e acceso qualche candela. Era da troppo tempo che non lo facevamo. Un po’ di romanticismo dopo tanti anni di reciproca sopportazione non guasta mai, aggiunsi.

Lui mi guardò serio. Poi il suo volto s’illuminò e si dichiarò d’accordo che non potevamo lasciare da sola quella bella tavola imbandita.

Mentre scendevamo di sotto per dare la notizia a Silvia, lei stava salendo le scale e arrossendo nuovamente disse che forse aveva capito qual’era il particolare che poteva essere aggiunto per rendere tutto ancora meglio di quanto già fosse.

Le risposi che oramai non aveva più importanza, la cena era stata rimandata per ciò che riguardava gli altri due ospiti e che potevamo anticiparla, dato che saremmo stati solo io e mio marito i protagonisti di quell’evento. Lei parve delusa e un po’ dispiaciuta.

In quel momento però non provai a consolarla. L’idea di cenare con mio marito a lume di candela mi stuzzicava molto e perciò tutto il resto era di secondaria importanza.

Quando fummo a tavola ed iniziarono ad arrivare le pietanze, sentii una musica dolce che si sprigionava dagli altoparlanti fissati in alto nei quattro canti della sala.

Ed allora capii cosa.

Era quello che mancava, una raffinata e soave melodia di sottofondo che avrebbe reso perfetta la cena.

Iniziai l’antipasto e in cuor mio ringraziai Silvia

Massimo Morrone

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